La cultura popolare è sempre più influenzata da spiegazioni psicologiche, riprese in particolare dalla psicologia clinica, ovviamente anche riguardo amore e sesso.
Un effetto collaterale d questo trend è spiegare il comportamento di una persona sulla base delle sue (presunte) caratteristiche di personalità, che si fanno risalire alla storia personale (familiare, scolastica, amicale, sentimentale) e al “temperamento”.
Ci si dimentica, abbozzando queste spiegazioni, l’enorme peso che sul nostro modo di essere ha la cultura in cui siamo immersi.
Questo vale anche per uno dei temi caldi della contemporaneità: la fobia da impegno nell’ambito delle relazioni sentimentali.
Perché è diventato più difficile che in passato (desiderare di) costruire e mantenere nel tempo una relazione duratura?
Una delle più note sociologhe viventi – Eva Illouz – propone di considerare l’influenza del contesto sociale sull’andamento contemporaneo delle relazioni sentimentali.
(con l’avvertenza che tale spiegazione sintetizza ricerche che riguardano adulti eterosessuali cresciuti nei paesi occidentali).
Naturalmente, questa proposta non intende escludere che la scarsa tenuta delle relazioni sentimentali possa dipendere da tratti di personalità rigidi e disfunzionali, ma dare un contributo diverso in un’ottica di complessità.
Scrive Illouz: “Attribuire valore in una condizione di abbondanza risulta difficile; al contrario quando ci si trova in una condizione di scarsità risulta quasi immediato”.
In pratica, la fobia da impegno sembra dipendere da come il contesto culturale determina le nostre scelte.
Vediamo perché:
Fino a non molti decenni fa, la vita delle persone era sostanzialmente circoscritta a confini dati dallo status socio-economico, dal luogo di residenza, dalla rete di relazioni che di conseguenza ne scaturiva, intorno alla propria famiglia e ai propri amici: le coppie e quindi i matrimoni erano frutto di scelte tra alternative abbastanza ridotte e ben delineate.
Oggi è diverso: la rivendicazione della libertà individuale ha messo in discussione l’idea che ci si debba necessariamente selezionare secondo esclusivi parametri socio-economici; la fluidità delle dinamiche lavorative, e gli spostamenti che determina, ci mette in condizione di ampliare (almeno potenzialmente) il nostro raggio di azione e con esso la possibilità di stringere relazioni in nuovi contesti; internet con Tinder e altre applicazioni di dating amplifica ulteriormente la possibilità di conoscere persone single.
Tutto questo si articola sullo sfondo di una grande rivoluzione culturale: lo sdoganamento del sesso come atto edonistico svincolato dall’impegno nei confronti di un/a partner.
Questi cambiamenti hanno trasformato l’architettura della scelta in ambito sentimentale, che avviene in una situazione nella quale si percepisce (almeno potenzialmente) una grande abbondanza.
Poiché è la scarsità a conferire valore, percepire che un/a partner è una tra tantissime opzioni possibili (adesso o in futuro) rende più difficile attribuirgli un valore tale da giustificare l’investimento in una relazione esclusiva, e per giunta “con un contratto a tempo indeterminato”.
Molto meglio una relazione vincolante solo nel breve-medio periodo, con possibilità, eventualmente, di rinnovo.
Come spiegano gli economisti, di fronte a tale abbondanza (reale o immaginata) ci si sposta dalla soddisfazione sufficiente per la prima scelta ritenuta accettabile alla ricerca della migliore opzione possibile.
Non solo: diverse ricerche hanno dimostrato come la tendenza culturale che ci chiede un’attenta analisi introspettiva dei perché dietro alle nostre scelte, anche sentimentali, sacrificando l’intuizione, ha come conseguenza l’impoverimento del fascino dell’oggetto d’introspezione: in pratica, riflettere accuratamente sui perché dietro al fatto che troviamo piacevole una persona ci porta in ogni caso a trovarla meno piacevole. Ma una maggiore analisi delle scelte dipende anche dal fatto che ci sono più alternative: abbondanza e introspezione (come riflessione razionale, calcolo in vista della scelta) si rinforzano a vicenda e pesano enormemente sulla qualità delle nostre emozioni.
Questo spiega perché le lunghe e precauzionali convivenze pre-matrimoniali non hanno alcuna correlazione col successo del seguente matrimonio – e anzi risultano più facilmente associate a insoddisfazione coniugale.
La fobia da impegno può essere edonistica quando spinge alla ricerca seriale di relazioni non vincolanti e spesso meramente occasionali, o abulica quando ha come conseguenza l’incapacità totale di desiderare. La stessa persona può oscillare tra questi due estremi.
Il fatto che riguardi in quota minore le donne è probabilmente da ricondurre al desiderio di maternità, che oggi si struttura in un contesto culturale nel quale l’orologio biologico femminile deve conciliarsi con il desiderio di emancipazione professionale: le donne vogliono tendenzialmente raggiungere una solida posizione lavorativa prima di fare figli, quindi hanno una finestra temporale precisa e soggetta a scadenza per scegliere un partner – è questa diversa percezione del tempo tra uomo e donna a rendere maggiormente vulnerabili gli uomini alla fobia da impegno.
Per saperne di più: E. Illouz, Perché l’amore fa soffrire, ed. Il Mulino